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[09/07/2010] Stranieri: Sentenza 249 Corte Costituzionale - Il reato di immigrazione clandestina supera lesame della Corte Costituzionale.
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Il Giornale degli Stranieri – Rassegna stampa a cura di Maurizio Buzzani – scrivi alla Redazione
Il reato di immigrazione clandestina supera l’esame della Corte Costituzionale.
Secondo la Consulta la scelta del Parlamento non è manifestamente irragionevole né arbitraria ed è coerente con il quadro europeo, mentre i casi di particolare tenuità potranno essere dichiarati improcedibili direttamente dal giudice di pace.
Fonte /immigrazioneoggi.it – 09/07/2010 – Accedi pagina web originale -
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Il reato di immigrazione clandestina supera l’esame della Corte Costituzionale.
Secondo la Consulta la scelta del Parlamento non è manifestamente irragionevole né arbitraria ed è coerente con il quadro europeo, mentre i casi di particolare tenuità potranno essere dichiarati improcedibili direttamente dal giudice di pace.
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La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 250 depositata ieri, ha respinto alcune questioni di legittimità sollevate nei confronti dell’articolo 10 bis del testo unico immigrazione, la norma introdotta lo scorso anno con la legge n. 94/2009 per sanzionare penalmente l’ingresso ed il soggiorno illegali nello Stato.
Secondo la Consulta, l’individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalità del legislatore: discrezionalità il cui esercizio può formare oggetto di sindacato, sul piano della legittimità costituzionale, solo ove si traduca in scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie.
Nel caso dell’articolo 10 bis – nota la Corte – il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice è, in realtà, agevolmente identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: bene la cui tutela penale non può considerarsi irrazionale ed arbitraria dato che risulta offendibile dalle condotte di ingresso e trattenimento illegale dello straniero.
Inoltre, il controllo giuridico dell’immigrazione comporta necessariamente la configurazione come fatto illecito della violazione delle regole in cui quel controllo si esprime. Determinare quale sia la risposta sanzionatoria più adeguata a tale illecito, e segnatamente stabilire se esso debba assumere una connotazione penale, anziché meramente amministrativa (com’era anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009), rientra nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, il quale ben può modulare diversamente nel tempo – in rapporto alle mutevoli caratteristiche e dimensioni del fenomeno migratorio e alla differente pregnanza delle esigenze ad esso connesse – la qualità e il livello dell’intervento repressivo in materia.
Peraltro, la scelta operata dal legislatore italiano con la legge del 2009 è tutt’altro che isolata nel panorama internazionale. Infatti l’analisi comparatistica rivela come norme incriminatrici dell’immigrazione irregolare di ispirazione simile, talora accompagnate dalla comminatoria di pene anche significativamente più severe di quella prevista dall’articolo 10 bis, sono presenti nelle legislazioni di diversi Paesi dell’Unione europea: e ciò tanto nell’ambito dei Paesi più vicini al nostro per tradizioni giuridiche (quali la Francia e la Germania), che fra quelli di diversa tradizione (quale il Regno Unito).
Secondo la Corte, anche i dubbi di legittimità riferiti alla mancata previsione di una clausola di salvaguardia per i casi di tenue entità o di impossibilità di rispetto della norma (il “giustificato motivo”), quali ad esempio l’aver perso l’aereo o il non aver ricevuto tempestivamente dai parenti all’estero il denaro per l’acquisto del biglietto di viaggio, non hanno ragione di esistere. Infatti, da un lato l’attribuzione della competenza per questo reato al giudice di pace rende operante l’istituto dell’esclusione della procedibilità per «particolare tenuità del fatto», previsto dall’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000; dall’altro, il sistema penale nel suo complesso già prevede cause di giustificazione in tutta una serie di casi, quali “situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa; non anche ad esigenze che riflettano la condizione tipica del “migrante economico”, sebbene espressive di istanze in sé pienamente legittime, sempre che – come è ovvio – non ricorrano situazioni riconducibili alle scriminanti previste dall’ordinamento”. Così come – conclude la Corte – è fuori discussione l’applicabilità anche al reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato delle scriminanti comuni e, in particolare, di quella dello stato di necessità, come pure delle cause di esclusione della colpevolezza, ivi compresa la situazione dello straniero che non comprenda la lingua italiana o che entri in contatto per la prima volta con l’ordinamento giuridico nazionale.
(R.M.)
Secondo la Consulta, l’individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalità del legislatore: discrezionalità il cui esercizio può formare oggetto di sindacato, sul piano della legittimità costituzionale, solo ove si traduca in scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie.
Nel caso dell’articolo 10 bis – nota la Corte – il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice è, in realtà, agevolmente identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: bene la cui tutela penale non può considerarsi irrazionale ed arbitraria dato che risulta offendibile dalle condotte di ingresso e trattenimento illegale dello straniero.
Inoltre, il controllo giuridico dell’immigrazione comporta necessariamente la configurazione come fatto illecito della violazione delle regole in cui quel controllo si esprime. Determinare quale sia la risposta sanzionatoria più adeguata a tale illecito, e segnatamente stabilire se esso debba assumere una connotazione penale, anziché meramente amministrativa (com’era anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009), rientra nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, il quale ben può modulare diversamente nel tempo – in rapporto alle mutevoli caratteristiche e dimensioni del fenomeno migratorio e alla differente pregnanza delle esigenze ad esso connesse – la qualità e il livello dell’intervento repressivo in materia.
Peraltro, la scelta operata dal legislatore italiano con la legge del 2009 è tutt’altro che isolata nel panorama internazionale. Infatti l’analisi comparatistica rivela come norme incriminatrici dell’immigrazione irregolare di ispirazione simile, talora accompagnate dalla comminatoria di pene anche significativamente più severe di quella prevista dall’articolo 10 bis, sono presenti nelle legislazioni di diversi Paesi dell’Unione europea: e ciò tanto nell’ambito dei Paesi più vicini al nostro per tradizioni giuridiche (quali la Francia e la Germania), che fra quelli di diversa tradizione (quale il Regno Unito).
Secondo la Corte, anche i dubbi di legittimità riferiti alla mancata previsione di una clausola di salvaguardia per i casi di tenue entità o di impossibilità di rispetto della norma (il “giustificato motivo”), quali ad esempio l’aver perso l’aereo o il non aver ricevuto tempestivamente dai parenti all’estero il denaro per l’acquisto del biglietto di viaggio, non hanno ragione di esistere. Infatti, da un lato l’attribuzione della competenza per questo reato al giudice di pace rende operante l’istituto dell’esclusione della procedibilità per «particolare tenuità del fatto», previsto dall’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000; dall’altro, il sistema penale nel suo complesso già prevede cause di giustificazione in tutta una serie di casi, quali “situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa; non anche ad esigenze che riflettano la condizione tipica del “migrante economico”, sebbene espressive di istanze in sé pienamente legittime, sempre che – come è ovvio – non ricorrano situazioni riconducibili alle scriminanti previste dall’ordinamento”. Così come – conclude la Corte – è fuori discussione l’applicabilità anche al reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato delle scriminanti comuni e, in particolare, di quella dello stato di necessità, come pure delle cause di esclusione della colpevolezza, ivi compresa la situazione dello straniero che non comprenda la lingua italiana o che entri in contatto per la prima volta con l’ordinamento giuridico nazionale.
(R.M.)
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